Ed ecco che quest'anno Duemilaequattordici mi ritrovo a parlare nuovamente del "Calendario delle Studentesse".
Questa volta il titolo del progetto è: Il coraggio è donna.
Strano il caso.
Come già avevo sottolineato in tempi non sospetti sul blog, il progetto, che "abbina da sempre il perseguimento di una missione sociale", ha via via fatto passi da gigante, dando vita a calendari sempre più "scoperti", tali da usare studentesse incaprettate sui binari per rappresentare il made in Italy (!!!) del Calendario 2011 "Italians do it better".
Strano che i fautori della lunga serie di calendari, che dal 2007 mostrano corpi più o meno (s)vestiti, manichini senza storia, oggi si facciano promotori della lotta alla violenza sulle donne.
Quante aziende, quante case di moda, prima alla ricerca della modella più bella e sensuale, ora non vedono l'ora di sbatterla sul cartellone con un occhio nero con lo sguardo indifeso?
Insomma, siamo di fronte alla solita strumentalizzazione del femminicidio per ottenere una pubblicità vincente del prodotto.
La sezione Donne di Fatto, de Il Fatto Quotidiano, con l'articolo di ieri, descrive come il Calendario delle Studentesse celebri "quante, dall’Italia alla Russia, passando per il Medio Oriente, abbiano scelto di liberarsi dai vincoli della sudditanza psicologica, fisica o sessuale di un singolo uomo o di una società maschilista nel suo complesso."
Posto che prima di parlare di niqab, bisognerebbe conoscere qualcosa di più di ciò che dicono i giornali, giova solo ricordare la frase di Fatima Mernissi, una delle più autorevoli studiose di Islam e femminismo islamico: "ridurre o assimilare l'hijab a uno straccio che gli uomini hanno imposto alle donne per velarle quando camminano per strada, vuol dire davvero impoverire questo termine, se non addirittura svuotarlo del suo significato."
Nawal al-Sa'dawi, scrittrice femminista egiziana, affermò che non si può analizzare correttamente l'Islame e la questione del velo senza un approccio comparativo.
"Ci sono donne che portano il velo come altre usano il trucco: per questo definisco il make-up un velo post-moderno. Essere coperte per dettami religiosi oppure spogliate per leggi di mercato è sempre una forma di schiavitù."
Sulla stessa scia, la Mernissi:
"Mi resi conto che la taglia 42 è forse una restrizione ancora più violenta del velo musulmano. [...] la bellezza, per una donna, è dimostrare quattordici anni. Le donne devono apparire belle, ovvero infantili e senza cervello. Così la frontiera dell'harem europeo separa la giovinezza bella dalla maturità brutta."
Se da un lato, quindi, la donna musulmana viene costretta dietro un velo fisico, la donna occidentale lo è in uno chador tutto occidentale: il trucco, la chirurgia plastica, la moda.
Anche una nostra connazionale, la giornalista Lilli Gruber, affezionata a queste tematiche, nel suo libro Figlie dell'Islam. La rivoluzione pacifica delle donne musulmane, sottolineò come "la visione occidentale della donna musulmana velata, sottomessa ai desideri di dominazione fisica e morale degli uomini, è pericolosa quanto quella fondamentalista che presenta il velo come unico strumento di liberazione dall'influenza degli stereotipi occidentali".
E' tristemente ironico come la lotta alla violenza di genere venga perseguita mettendo in atto stessa violenza, stessa stereotipizzazione e stessa segregazione.
Italiane, siete sicure di essere delle donne libere?
Abbina da sempre il perseguimento di una missione
sociale...un medium finalizzato a incentivare la sensibilizzazione
dell'opinione pubblica su tematiche di interesse generale.” - See more at: http://ladonnaobsoleta.blogspot.it/2011/11/il-calendario-delle-studentesse-i.html#sthash.jmdV8C5P.dpu