domenica 11 dicembre 2011

Le donne degli eventi socio-culturali e dei movimenti SNOQ: né minoranze, né vittime da commiserare


Un evento degno di nota, che avevamo annunciato in un precedente articolo, è quello tenutosi giorno 3 dicembre presso il Cortile Platamone a Catania, intitolato Non è un Paese per donne?.
Organizzato da Elena Caruso dei Giovani Democratici, è stato caratterizzato dal prezioso intervento di personalità di spicco come Elvira Seminara, scrittrice e coautrice del libro “Non è un Paese per donne”, Graziana Maniscalco (attrice), Laura Marcucci (coordinamento donne PD Trieste), e l’Onorevole Anna Finocchiaro.


L'evento ha riscontrato un enorme successo; la piccola sala adibita per il convegno non era abbastanza capiente per contenere spettatori e spettatrici (un centinaio) che, parecchio interessati, hanno deciso di assistere lo stesso in piedi.
Ciò è segno positivo della crescente consapevolezza di un problema da affrontare e risolvere, e cioè quello di una figura femminile poco presente nel panorama socio-politico italiano, reclusa tra le mura domestiche o come rappresentazione stereotipata e mercificata da parte del mondo dei media.
Ogni giorno, piccolo e grande schermo ci presentano da una parte una “donna pornografica”, per usare le parole di Elena Caruso, una donna irreale e plastificata, che sceglie il sesso come strumento di professione e guadagno, e dall'altra una donna debole e inetta, vittima da commiserare in modo compassionevole.

Elvira Seminara scrittrice e coautrice del libro “Non è un Paese per donne”, titolo di ispirazione dell'incontro, svela il titolo iniziale del suo lavoro, chiamato “Le funambole”, e il perché dello stesso.
Il funambolo infatti, sul filo del rasoio, lotta costantemente con l'instabilità e la precarietà della sua condizione; affronta la mancanza di equilibrio con fermezza e decisione, senza abbassare mai lo sguardo, ma guardando un punto verso l'infinito.
D'altra parte, proprio come le donne, nonostante i muscoli tesi e la fatica, è una figura leggiadra, che trasmette grazia e naturalezza. Questo purtroppo rende la donna, nell'immaginario collettivo, come un individuo naturalmente soggetto a difficoltà, e per questo non degno di nota ed evidenza.
Il libro della Seminara vuole quindi spostare questo velo dagli occhi per palesare la realtà delle figure femminili, “donne affaticate e sempre allerta” che sognano, un giorno, prima o poi, di “pensare senza corrimano”.

L'onorevole Finocchiaro conferisce un apporto considerevole al convegno con notizie e informazioni sostanziali, reali, matematiche.
Inizia con l'evidenziare i dati di maggioranza numerica delle donne sia dal punto di vista demografico che da quello di riuscita intellettuale e culturale: siamo di più, studiamo di più, abbiamo risultati migliori e migliori capacità organizzative, ma ciò nonostante veniamo trattate come una “minoranza”.
Sottolinea inoltre come la legge non sia d'aiuto: dalle piccole rappresentanze studentesche a quelle parlamentari o dirigenziali, si può ben evincere quanto la figura femminile sia un fantasma.
In più, l'abolizione della norma sul divieto delle dimissioni in bianco (firma di dimissioni delle giovani donne in caso di gravidanza) e quella di opposizione ai proventi nati dall'innalzamento dell'età pensionabile delle donne (4 miliardi spariti nel nulla) non fanno certo sperare.

Uno spiraglio è apparso negli ultimi anni grazie alla crescita delle nomine femminili a sindaci, scelte sulla base di una migliore “relazione diretta col territorio”, e al pullulare, tramite i social networks, di gruppi, associazioni e movimenti a difesa delle donne nella società odierna.
Il più grande, fautore di una forte scossa sociale al Paese, è il movimento Senonoraquando, che, dopo il successo del 13 febbraio 2010, ha riproposto l'evento proprio ieri, 11 dicembre, supportati in tutto Italia e non solo.
Il premio Nobel per la pace 1997, Jody Williams, presidente del Nobel Women’s Initiative, ha scritto una lettera di sostegno per il movimento, ricordando grandi donne che si sono battute in difesa dei diritti umani (da Wangari Mathai in Africa a Shirin Ebadi, da Aung San Suu Kyi alle tre donne Nobel per la pace, Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee, Tawakkol Karman):

Voglio esprimere il mio sostegno a questo sforzo che avete avviato. L’Iniziativa delle Donne del Nobel sta dalla vostra parte, donne italiane che siete oggi riunite nelle molte piazze del paese per marcare il segno della vostra vitale, competente ed entusiastica presenza sulla scena pubblica.
Siamo con voi, perché la vostra partecipazione a tutto tondo nella vita dell’Italia è essenziale.”


Ieri, in Piazza del Popolo a Roma, come in tante altre piazze italiane, hanno trattato di varie tematiche: dal problema della discriminazione sessuale alla commemorazione delle vittime di Barletta, dai corpi obbligati a non invecchiare nell'intervento della Comencini all'appello al governo di revisione della manovra ("Il Pil aumenta quando le donne lavorano").

Purtroppo la città catanese non ha mai costituito un suo comitato SNOQ e ieri non è stata coinvolta in nessuna manifestazione, ma sono lieta di aver almeno partecipato, seppur giorni fa, ad un evento attento alle donne e degno di evidenza.
 

lunedì 28 novembre 2011

Bimbe di cera e donne-calippo: ecco come gli spot di moda vedono la donna nel presente e nel futuro




Prendo il primo giornale che mi capita sottomano, IO Donna, inserto del Corriere della Sera, e inizio a contare le pagine contenenti figure femminili in posa: 89, ben 89 su 238 totali!

E' storia vecchia e risaputa che la donna sia un ormai inflazionato strumento per sponsorizzare prodotti di tutti i tipi, dallo yogurt al sigillante, ma noto con stupore quanto sia inflazionato adesso anche l'USO delle bambine. Spopola oramai in maniera terrificante l'intento a commuovere il pubblico; se era qualcosa di palese con i programmi televisivi strappalacrime, adesso l'evidenza non sfugge neanche negli spots.

I pubblicisti di 2 aziende leader nel mercato come la Mulino Bianco e la Barilla vengono pagati fior di quattrini per legare un biscotto o uno spaghetto a scene di vita familiare felici e perfette. Se è giusto e creativo andare oltre il semplice prodotto materiale, non lo è altrettanto coinvolgere i bambini, soprattutto quando vengono messi li a rappresentare stereotipi non gratificanti di uomo e donna nella nostra società poco in progresso.

Riporto due esempi riguardanti la pubblicità delle sottilette:
  • Gaia, bellissima bimba di 4-5 anni in primo piano, con indosso un paio di guanti per pulire e di fronte una pila immensa di piatti sporchi, esordisce con la faccia triste "Certo che lavare i piatti è è proprio una bella scocciatura...Ma oggi ho scoperto “sottilette...” Nel frattempo entra di corsa il fratellino pasticcione che non aiuta, si arrampica su uno sgabello e lancia un giocattolo nel lavello, schizzandole del sapone. http://www.youtube.com/watch?v=TmPjOl3PZg0
  • Sofia, cappello di paglia e filo di perle, che si lamenta col suo peluche: "Tutte le volte che c’è la partita mio marito non c’è proprio... E quando gli parlo mi fa sempre shhhhh... Ma io ho un trucco: gli preparo le mie buonissimissimissime lasagne con sottilette e tutto cambia: mi sorride pure! I soliti maschi!" http://www.youtube.com/watch?v=xwqjr-ZRBp0

Ma non è finita qui: la cosa più preoccupante è vedere le bambine diventar famose anche come modelle per le case di abbigliamento più o meno conosciute.

Prada fa parlare di sé con l'ultima immagine pubblicitaria e il relativo spot video che ritrae le due modelle tredicenni Ondria Hardin e Kelly Mittendorf che, sotto uno sfondo musicale sussurrato e languido, sfiorano il proprio corpo per svestirlo e rivestirlo. Volgarità e banalità di un famoso Steven Meisel, che non è riuscito ad andare oltre la rappresentazione di una Lolita datata anni 60.

Per parlare invece di griffe più o meno accessibili e alla portata di tutti, ho scelto, e per questo messo come foto in primo piano, l'esaustiva immagine di SilvianHeach.

Questa non fa altro che propormi delle bimbe di cera, ingrigite da un ambiente privo di giochi, dove una mi fissa e non sorride, sciolta da ogni naturalezza e purezza infantile, e un'altra , peggio ancora, posa elegantemente con lo sguardo altrove, consapevole di un fascino e di una malizia non appartenente alla sua giovane età.
Sono queste le future “donne-calippo”?
Ecco come una delle tante aziende di abbigliamento ci presenta la donna nel presente e nel futuro.
Confortante, vero?

martedì 22 novembre 2011

Donatella Versace per H&M: paura delle donne vere e deliri d'onnipotenza senile




Donatella Versace, un nome che ha dentro una storia, un'eredità, un'azienda, un brand.
Volto noto del mondo della moda, la stilista è recente oggetto di attenzione per il temporaneo sodalizio creato con la casa di abbigliamento H&M, brand svedese conosciuto tra i giovani e apprezzato per la creatività a basso costo.
Eppure Donatella un tempo sentenziò: "Non collaborerò mai con un brand di fast fashion".
Il “matrimonio” fugace, segno quindi di una vistosa retromarcia, ha portato all'uscita il 17 novembre di una linea Versace all'interno degli store H&M, collezione che sarà "la quintessenza di Versace” ma- garantisce- a prezzi più “bassi”.

Nulla da dire sugli abiti presentati in anteprima durante una sfilata a New York e nulla da dire sul prevedibile party sfarzoso pieno di vip d'eccezione.
Quello che fa storcere un po' il naso è la palese presuntuosità e altezzosità di una stilista in netto contrasto con lo stile decisamente democratico di H&M e di Margaretha Van Den Bosch, suo creative advisor.
La Versace infatti si è rifiutata di usare donne reali per la propria linea. Dopo aver progettato in collaborazione con il New York Daily News uno shooting fotografico con tre giovani neolaureate newyorkesi, la stilista ha comunicato tramite un suo rappresentante, che ha cancellato il servizio fotografico, di aver cambiato idea, perché non incarnanti lo spirito del brand. Ma quante retromarce!
Giustamente il Daily News risponde: Apparently, “real” doesn’t work for the 56-year-old bottle-blond designer with the bee-stung lips (Apparentemente ciò che è “reale” non può funzionare per una vecchia stilista 56enne con le labbra punte da un'ape).
BANG!

Comunque spero che con questo episodio una giovane parte di New York rimanga contrariata a lungo con lei, quella stessa clientela che lei presuntuosamente diceva di conoscere bene.

I know this customer. I know what they want.”
Really Donatella???

Ma andiamo avanti perché purtroppo non è questo l'unico motivo per cui oggi mi cimento a parlare di moda e nasi all'insù.
Donatella Versace ha infatti costruito intorno alla linea una pubblicità di impatto.
I personaggi sono sempre gli stessi, modelle quattro ossa, con pelle bianco-porcellana.
La novità, però, sta nell'ambientazione, una serie di scene, espressione del fenomeno del controllo mentale: le ragazze escono da un nastro trasportatore come manichini prodotti in serie, a immagine e somiglianza della stilista, sotto il suo occhio vigile, ripetuto a mosaico su tutte le pareti; come criceti su una ruota, come pedine in balia dei labirinti e delle scale tipiche della pittura di Escher. (Guarda qui alcune immagini) 

Dubito che la stilista sia una fanatica di Orwell e del suo Ninteen Eighty-Four e che abbia voluto riprodurre un'atmosfera da “Big Brother is watching you”.
Forse la piccola Donatella non ha mai avuto una casa delle bambole tutta per sé nell'infanzia, perché di questo si tratta: bambole controllate e rinchiuse in gabbia, manichini manipolati da un “handler”, un supremo controllore.
Lo spot sembra spiegare e, purtroppo, confermare che ciò che avviene nel backstage di una passerella non è semplicemente creare abiti e vestire dei corpi, ma manovrare delle persone e svuotarne la personalità.

L'handler è proprio Donatella Versace che, come un dio coi suoi deliri di onnipotenza, a fine spot, dalla sua torretta di controllo, esclama fieramente un motto che si appresta a divenire il triste tormentone di un pezzo dance:
My house, my rules, my pleasure”
La mia casa, le mie regole, il mio piacere.

Ecco, senza offesa Donatella, facci un piacere: statti a casa tua!

giovedì 10 novembre 2011

Il Calendario delle Studentesse: i “manichini senza storia” di una missione sociale incompiuta



Il Calendario delle Studentesse è un progetto nato nel 2007 ed è diventato oggi un vero e proprio cult seguito dai principali networks nazionali e ambito dai collezionisti...Abbina da sempre il perseguimento di una missione sociale...un medium finalizzato a incentivare la sensibilizzazione dell'opinione pubblica su tematiche di interesse generale.”

Così recita la presentazione del Calendario delle Studentesse nel relativo sito di appartenenza, dal mio punto di vista non scevra da obiezioni e pareri contrastanti.

Se il calendario da una parte vuole valorizzare determinati argomenti di interesse pubblico, come l'anoressia o il made in Italy, dall'altra lo fa sminuendo i soggetti che utilizza (ed il termine è letteralmente esatto) per arrivare al suo intento.

Il calendario dal 2007 immortala, infatti, 12 studentesse italiane tra i 18 ed i 30 anni provenienti da tutti gli atenei, in pose poco creative, che confezionano alla fine sempre il solito “calendarietto per camionisti”.

Il progetto sembrava esser partito bene con il tema sulla sicurezza stradale, dove le ragazze si presentavano normalmente VESTITE da capo a piedi.

Col passare degli anni e, ahimè, con l'evolversi ormai di una concezione culturale distorta che sta contagiando ogni settore, iniziativa, progetto, i calendari si sono sempre più “scoperti”e hanno proposto, ad esempio, per l'edizione “I colori del cibo, ragazze in costume o sottane sgargianti, tutte stese su una piattaforma, come cibo esposto su vassoi.

Il culmine viene raggiunto con l'edizione Rinascimento tecnologico, dove ad ogni mese corrisponde una ragazza ripetutamente proposta in minishorts o bikini, presentando foto per nulla attinenti alla tematica. Tutt'al più perché il calendario delle studentesse 2009 di Fabrizio Cappella e Paolo Castaldo è nato per “cause politiche”, in risposta a quello delle universitarie che si sono spogliate per difendere la riforma Gelmini.

Anche se il primo si presenta in maniera sfacciata e volgare, il secondo non sembra aver adottato il metodo giusto per distinguersi, se non per ribadire quanto ormai sia difficile tener vestite le ragazze.

Calendario studentesse pro-Gelmini: http://www.studenti.it/foto/universita/g/calendario-delle-studentesse-pro-riforma-gelmini/

Calendario studentesse anti-Gelmini: http://www.studenti.it/foto/universita/g/calendario-delle-studentesse-anti-riforma-gelmini/

Dulcis in fundo, "Italians do it better", titolo dell'edizione 2011, affronta il tema del Made in Italy. Con quest'ultimo lavoro si è voluto quindi risaltare il patrimonio artigianale e artistico italiano che è riuscito a competere in ambito internazionale: dalla moda all'architettura, dalla cultura all'arte e al teatro. All'interno dei dodici scatti, voluti per rappresentare l'Italia come “icona internazionale di genio, creatività e bellezza”, non sembra scorgersi quell'intento di sensibilizzazione sociale tanto propagandato, dato che le sedici studentesse sono state messe semplicemente come belle statuine in luoghi simbolo del successo nostrano (Fontana di Trevi, Piazza di Spagna a Roma, Venezia etc...). Addirittura una ragazza in mini abito nero viene “incaprettata” e messa su un binario di un treno, con seri dubbi sul significato dello scatto.

In buona sostanza, sono come dei manichini senza storia.

E' stato sempre chiamato Calendario delle Studentesse, senza mai evidenziare il valore di queste ragazze, il loro studio, i loro interessi, il loro essere sociale... ci si limita, come sempre, a somministrare una buona dose di corpo.

Allora perché non chiamarlo semplicemente Calendario?

Insomma, alla fine sembra che gli italiani, si, siano i migliori…nel raccontare sempre la stessa, banale, noiosa storia.

E chi ne vuole far parte per il 2012? Le selezioni sono aperte!

lunedì 7 novembre 2011

Miss Representation: anche in America un documentario e una campagna contro la rappresentazione stereotipata delle donne sui media


Anche in America è stato prodotto un  
interessante documentario contro la rappresentazione stereotipata delle donne sui media. Si chiama Miss Representation e, come il documentario tutto italiano “Il corpo delle donne” realizzato nel 2009 da Lorella Zanardo, denuncia la superficiale e distorta rappresentazione femminile nei media.

Il docufilm è stato presentato ad inizio anno al Sundance Film Festival e la premiere trasmessa il 20 ottobre su OWN Ophra Winfrey Network.

Scritto, diretto e prodotto da Jennifer Siebel Newsom (attrice e filmmaker), il film spiega come televisione, musica, videogames, pubblicità e riviste made in Usa, formino insieme un'industria di messaggi sessisti e stereotipati.

Nel cast ci sono numerosi personaggi del mondo della politica, del giornalismo e dell’entertainment, come Marissa Mayer di Google, Rosario Dawson, Geena Davis, Nancy Pelosi e Condoleezza Rice.

Come ha sottolineato la Zanardo in una delle sue rare apparizioni nel piccolo schermo, la televisione resta ormai l'unico “agente di socializzazione” efficace nella nostra società, che veicola in maniera diretta ed efficace messaggi poco incoraggianti, i quali andranno a formare nei giovani pensieri e bagaglio culturale estremamente poveri e limitati. E' molto preoccupante, quindi, come si stia formando l'educazione di ragazzini sempre più esposti, senza filtri, a immagini del genere.

Nel documentario vengono citati dati statistici rilevanti:
  • Le donne americane sono il 3% nelle posizioni chiave dell’editoria, entertainment, pubblicità e telecomunicazioni.
  • Su 250 film di successo, solo il 7% dei registi è donna e, tra gli autori, le donne sono il 13%.
  • Le donne costituiscono il 51% della popolazione americana, ma solo il 17% occupa dei seggi nel Parlamento.
  • Tra il 1997 e il 2007 la chirurgia estetica su ragazze di meno di 18 anni è triplicata.
  • Nello stesso periodo gli interventi di liposuzione sono quadruplicati e si è verificato un incremento di 6 volte delle mastoplastiche additive.
  • Il 65% delle donne e delle ragazze americane soffre di disturbi alimentari.

Miss Representation” nasce quindi per offrire una call-to-action campaign, che mira a far si che le ragazze prendano coscienza della loro identità sociale, spingendole a frantumare le gabbie stereotipate di bellezza e sensualità per trovare una loro posizione e un loro ruolo nel mondo in cui vivono. Mondo che non risparmia nessun paese, nessuna donna, perché l'exploitation del corpo femminile esiste ovunque, non ha confini, e viene combattuto sempre più, soprattutto quando si trasforma in violenza (registrata in proporzionale aumento con il crescere di questo fenomeno).

Azzeccato quindi il motto del film che recita “You can't be what you can't see”.

Ma Miss Representation non è solo un film. E' anche una campagna con diverse iniziative.

Potete trovarle tutte al seguente indirizzo: http://missrepresentation.org/take-action/

lunedì 31 ottobre 2011

Un sorriso per vivere e uno per sopravvivere: il gap italiano tra le macerie di Barletta.



Qualche settimana fa passeggiavo per le strade di Delft, piccola ma bella cittadina dell'Olanda, e tra un canale e l'altro scorgo per caso un negozietto-fabbrica all'angolo della strada.

L'edificio cattura la mia attenzione perché totalmente tappezzato di creazioni delle stesse sarte: le pareti risultano quindi completamente colorate e, più di tutto, ravvivate sulla facciata d'ingresso dalle foto delle 6 donne che ci lavorano. Sfoderano un sorriso smagliante e totalmente naturale, mentre sono intente a fare il loro lavoro, cucire a maglia.

Hanno un sorriso sereno e disarmante, e non posso far altro che pensare a loro ... perchè quel sorriso è uguale a quello delle nostre 5 connazionali, le operaie morte nel crollo della palazzina di via Roma, a Barletta.

La foto che raffigura 3 delle vittime è una foto intima, personale; le ragazze infatti non sono sorprese durante il loro impiego da operaie, perché in Italia non puoi sorridere per il tuo lavoro, quello da 3 euro e 95 centesimi l'ora, tra corridoi stretti e mura fatiscenti.

Tina, Matilde, Giovanna, Antonella e Maria lavoravano in nero, senza contratto, lavoravano per sopravvivere.

E in tutto questo lo Stato non può che essere complice,
complice di un territorio poco sicuro e non controllato,
complice di un tenore di vita stentato,
complice di sacrifici immensi che non sono mai abbastanza,
complice della minima, se non inesistente, tutela delle fasce più deboli, soprattutto se donne.

Gia nel 2008 il Global Gender Gap Report 2008 , lo studio del World Economic Forum sulle disparità di genere nel mondo, sentenziava: nelle pari opportunità, soprattutto a livello economico, l’Italia si colloca solo alla posizione 83, dopo Paesi come il Botswana e il Burkina Faso.

Poco incoraggiante anche la classifica dei parametri legati alla salute, dove anche qui il Bel Paese occupa l’83esima posizione.

L'Olanda si piazza al 9° posto.

Ora non voglio fare la parte della solita italiana, con la voglia di “fuga”, sempre pronta a lamentarsi del proprio Paese in maniera distruttiva.
Ma che idee ed intenti possono nascere da un Paese che distrugge?
Che fiori possono nascere da macerie del genere?

domenica 16 ottobre 2011

Bigotta? Bacchettona? No, semplicemente Obsoleta



Da Aristotele a Charles Baudelaire le donne sono sempre state viste come esseri inferiori, incapaci ed inopportuni ad interagire con la società, la politica e la religione. Leggendo aforismi sulle donne di questi grandi nomi del passato, non posso che pensare a uomini senza fantasia.
Le cose non sono cambiate nei giorni nostri, dove grazie ai mass media e al world wide web è più semplice diffondere questo triste messaggio.

La donna obsoleta” non nasce con un intento preciso, non si aspetta di smuovere le coscienze in un Paese che necessita di una grande utopica Rivoluzione Culturale. Semplicemente si prende la libertà di esprimersi (cosa non più tanto scontata ), tentando di raccontare una donna che si sente straniera nel suo Paese e estranea ai tempi che corrono.
L'obsolescenza, dal latino ob-solere, indica lo stato in cui si trova qualcosa di vecchio, antiquato, desueto che inevitabilmente non viene più utilizzato e considerato.
Può sembrare forte accostare questo aggettivo a una persona, ma purtroppo è quello che accade nella nostra società. La donna diventa merce, una commodity come direbbero gli americani; è uno strumento usato solo per determinati scopi e settori (spettacolo, moda, casa), fuori dai quali non c'è possibilità di accesso; è soggetta a usura, a vecchiaia e per questo motivo rughe e segni del tempo devono essere eliminati per “sopravvivere”.

Sarebbe comodo fare spallucce e dire che oramai la donna oggetto è solo una patetica ossessione di femministe incallite e bigotte bacchettone, ma è un'esagerazione o un estremismo voler rivendicare la propria esistenza non come vecchi rottami da sostituire, ma come risorse di un Paese che ha ancora molto da imparare in cultura, sensibilità e umanità?
Al diavolo i politici che storpiano la figura della donna per i loro manifesti elettorali, al diavolo quelli che ne usano il sesso per soprannominare partiti deprecabili, ma soprattutto al diavolo gli economisti con ipad e cravatta, che riempiono le interviste giornalistiche di termini indecifrabili per confondere la gente.
Come disse Marx “il progresso sociale si può misurare con esattezza dalla posizione sociale del bel sesso.”

Al di là delle disquisizioni tematiche e del rinvio a celebri ed illustri, parlo personalmente di me
Una venticinquenne, una studentessa (ancora?!) quasi giurisperita, con un sogno a breve termine, forse non più mio,  trasformatosi in incubo;  ed un altro, a lungo termine, troppo lontano da poter scorgere. Una ragazza, quindi, divisa tra l'amnesia e la mancanza di opportunità.
Un bel quadro per una "giovane"! Non è così  che ci chiamano i politici, i giornali, tutti? I giovani ...
Io, parte della nuova "fascia debole protetta" (?) del XXI secolo, dico che in tutto questo, alla fine, ti ci senti un pò a pezzi. Non so se più come un vecchio televisore che ne ha visti di tutti i colori fino ad andare in cortocircuito, o semplicemente come un vecchio ferro da stiro sotto cui è ristagnato troppo calcare di chances perdute. Si, perchè essere in rovina per delle possibilità mai date è peggio di esserlo per quelle avute e sfruttate male. Una cosa è partire da 0, un'altra da -10.
Sei dentro un pacco di coriandoli, tutti vicini e messi insieme, ma in una maniera così precaria, che ogni volta che ti chiedono chi sei non puoi rispondere nè tutto nè niente. Ogni coriandolo non è mai abbastanza per rappresentarti davvero e, frantumata in quel contenitore, non resti altro che un gioco dell'aria. Ecco cosa siamo, un gioco dell'aria. Animali profondamente sociali in una società che non dà identità.

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