Donatella Versace, un nome che ha dentro una storia, un'eredità, un'azienda, un brand.
Volto noto del mondo della moda, la stilista è recente oggetto di attenzione per il temporaneo sodalizio creato con la casa di abbigliamento H&M, brand svedese conosciuto tra i giovani e apprezzato per la creatività a basso costo.
Eppure Donatella un tempo sentenziò: "Non collaborerò mai con un brand di fast fashion".
Il “matrimonio” fugace, segno quindi di una vistosa retromarcia, ha portato all'uscita il 17 novembre di una linea Versace all'interno degli store H&M, collezione che sarà "la quintessenza di Versace” ma- garantisce- a prezzi più “bassi”.
Nulla da dire sugli abiti presentati in anteprima durante una sfilata a New York e nulla da dire sul prevedibile party sfarzoso pieno di vip d'eccezione.
Quello che fa storcere un po' il naso è la palese presuntuosità e altezzosità di una stilista in netto contrasto con lo stile decisamente democratico di H&M e di Margaretha Van Den Bosch, suo creative advisor.
La Versace infatti si è rifiutata di usare donne reali per la propria linea. Dopo aver progettato in collaborazione con il New York Daily News uno shooting fotografico con tre giovani neolaureate newyorkesi, la stilista ha comunicato tramite un suo rappresentante, che ha cancellato il servizio fotografico, di aver cambiato idea, perché non incarnanti lo spirito del brand. Ma quante retromarce!
Giustamente il Daily News risponde: Apparently, “real” doesn’t work for the 56-year-old bottle-blond designer with the bee-stung lips (Apparentemente ciò che è “reale” non può funzionare per una vecchia stilista 56enne con le labbra punte da un'ape).
BANG!
Comunque spero che con questo episodio una giovane parte di New York rimanga contrariata a lungo con lei, quella stessa clientela che lei presuntuosamente diceva di conoscere bene.
“I know this customer. I know what they want.”
… Really Donatella???
Ma andiamo avanti perché purtroppo non è questo l'unico motivo per cui oggi mi cimento a parlare di moda e nasi all'insù.
Donatella Versace ha infatti costruito intorno alla linea una pubblicità di impatto.
I personaggi sono sempre gli stessi, modelle quattro ossa, con pelle bianco-porcellana.
La novità, però, sta nell'ambientazione, una serie di scene, espressione del fenomeno del controllo mentale: le ragazze escono da un nastro trasportatore come manichini prodotti in serie, a immagine e somiglianza della stilista, sotto il suo occhio vigile, ripetuto a mosaico su tutte le pareti; come criceti su una ruota, come pedine in balia dei labirinti e delle scale tipiche della pittura di Escher. (Guarda qui alcune immagini)
Dubito che la stilista sia una fanatica di Orwell e del suo Ninteen Eighty-Four e che abbia voluto riprodurre un'atmosfera da “Big Brother is watching you”.
Forse la piccola Donatella non ha mai avuto una casa delle bambole tutta per sé nell'infanzia, perché di questo si tratta: bambole controllate e rinchiuse in gabbia, manichini manipolati da un “handler”, un supremo controllore.
Lo spot sembra spiegare e, purtroppo, confermare che ciò che avviene nel backstage di una passerella non è semplicemente creare abiti e vestire dei corpi, ma manovrare delle persone e svuotarne la personalità.
L'handler è proprio Donatella Versace che, come un dio coi suoi deliri di onnipotenza, a fine spot, dalla sua torretta di controllo, esclama fieramente un motto che si appresta a divenire il triste tormentone di un pezzo dance:
“My house, my rules, my pleasure”
La mia casa, le mie regole, il mio piacere.
Ecco, senza offesa Donatella, facci un piacere: statti a casa tua!
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