Oggi mi sono alzata dal letto a fatica. Leggere determinati "articoli" di prima mattina non fa mai bene.
Sono diventati velocemente famosi e virali i video della campagna
#coglioneNO, con la quale si rivendica il dovuto riconoscimento e compenso per il lavoro svolto dai cosiddetti freelance creativi (presumibilmente grafici, designer, registi, scrittori, e chi più ne ha più ne metta).
La ricerca della parità tra i mestieri più noti e "ordinari" (come elettricista o giardiniere) e freelance è qualcosa che ha destato grandi perplessità tra le penne più e meno emerite.
E' vero che il settore in questione è definito da un
mercato del compratore, dove l'offerta supera la domanda e dove il creativo diventa un lavoratore non necessario e facilmente sostituibile da chi "si vende per meno".
Quindi è tutta questione di economia di mercato? Si.
Ma potremmo dire che l'economia è disancorata dalla cultura sociale di un Paese? No.
E' ciò che viene comunemente chiamato
embeddedness, vale a dire "l'annidamento" delle attività economiche nella società.
La produzione, la distribuzione e il consumo dei beni dipendono
infatti da fattori sociali come
la cultura, le abitudini, il senso di
responsabilità e la reciprocità verso gli altri.
Inutile dire che mio fratello, filmmaker che ha studiato e lavorato a Londra, è stato commissionato, contrattualizzato e retribuito adeguatamente e puntualmente per ogni lavoro da "freelance creativo" svolto in quello strano(!!!) Paese che è l'Inghilterra.
Uno dei rappresentanti della teoria dell'embeddedness è il sociologo Mark Granovetter, il quale osservò, ad esempio, che, dove l'economia è "embedded" in un ambiente dove domina la corruzione o la mafia,
le conseguenze sui costi economici non possono che essere
negative.
Quello che ha caratterizzato i commenti, articoli, post contrari al video, ribattezzati con l'hashtag
#coglioneSI, non è certamente paragonabile ad una reazione mafiosa o corrotta.
E' qualcosa di peggiore.
E' la
sagra della mediocrità.
Alcuni esempi.
- Nella maggior parte dei casi il “creativo non pagato” ha studiato “scienze della comunicazione”, facoltà che per sua natura sforna persone insulse, intellettualmente pigre e fortemente impreparate.
- La tua laurea non conta un cazzo. Non attesta la tua capacità di fare
effettivamente qualcosa, ma soltanto il fatto che quello che sai fare
non l’hai imparato da solo ma te l’hanno insegnato facendosi pagare
profumatamente per farlo.
- Non devi spiegare al cliente che, se tu stai chiedendo dei soldi e suo
cugggino no, è perché quel lavoro tu puoi farlo meglio di suo cugggino.
Questo lui lo sa già. E indovina? Non gliene frega un cazzo, perché
piuttosto che dover pagare per un lavoro fatto bene preferisce
accontentarsi di un lavoro fatto così così ma per cui non deve sborsare
un euro. E questo non perché sia un bastardo o perché non rispetti la
tua creatività, ma semplicemente perché nella tua creatività non vede
alcun valore aggiunto.
- Hai disgraziatamente deciso che avresti fatto un lavoro creativo perché
il cantiere non ti avrebbe lasciato abbastanza tempo libero per i selfie
Queste iniziative diventano banchetto per la restante parte del nuovo precariato, bloggers,
redattori, giornalisti, che scrivono di quel nuovo video
virale sulla cresta dell'onda per assicurarsi visualizzazioni.
Ci sono tanti "giornalisti" che scrivono su importanti testate o parlano
nelle edizioni del Tg della nuova crema per le mani usata da Kim
Kardashian, ma di questi servizi nessuno si lamenta.
Misteri della fede.
Chi scrive non è nostro padre o nostro nonno, ma giovani come noi.
Giovani che vivono DI tecnologia, che difendono i "mestieri di cantiere" ma, con la loro dipendenza digitale, contribuiscono alla scomparsa di prodotti e servizi.
Magari scrivono
anche, tessendone le lodi, della nuova start-up
italiana che vince un premio all'estero ed è pronta a partire,
non comprendendo che la loro stessa
forma mentis è tra le cause della fuga di
cervelli.
Insomma,
la mancanza di solidarietà, il saccente paternalismo e la critica a-tutti-i-costi stanno avvelenando sempre più il nostro Paese.
Lo stesso Paese che si commuove
del leggendario discorso di Steve Jobs a Stanford nel 2005, di quelle parole magiche Stay hungry, stay foolish, ma che alla prima occasione è pronto a negare la meritocrazia, sottovalutare le capacità altrui, adagiarsi sullo status quo, appoggiare i furbetti che sfruttano i giovani e gli imprenditori che non pagano.